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mercoledì 19 giugno 2013

LE PIETRE - ANIMA DI SARDEGNA

Su para e sa mongia (il frate e la suora)
Questi due menhirs  prenuragici siti lungo l'istmo che collega l'isola di Sant'Antiocoalla terra madre, rozzamente sbozzati, hanno caratteristiche prettamente femminili (il più basso), mentre l'altro rappresenta sicuramente l'elemento maschile.

 


Per gli amici sardi e per quanti amano la Sardegna, anche solo per quell’odore da sortilegio che prende e ammalia quanti si avvicinano a questa splendida terra, con la forza di una Circe misteriosa, pubblichiamo questo testo di Marcello Serra ripreso, con un recente post su Facebook, da Pino De Filippis che elogiamo e ringraziamo.
Buona lettura.

«[…] Indimenticabile e assolutamente diverso è l’odore della Sardegna.

L’avvertite subito approdando, ma esso vi raggiunge anche in alto mare, come il primo saluto, non appena cominciano a disegnarsi le coste ed i monti indocili di questa terra. Poi esso vi accompagnerà per ogni strada, illanguidendosi appena nelle città più folte, diventando più gagliardo ed insistente nelle campagne e sulle alture. Ma non vi abbandonerà mai, perché tutta l’aria dell’isola ne è impregnata. Quell’odore è il respiro stesso della Sardegna. Delle sue macchie d’albatro, di cisto, di lentischio, di mirto, di timo e di ginestre; dei cespugli d’asfodelo, d’erica, d’euforbia, di salvia, di rosmarino; delle siepi di cactus, di agavi, di prunelle, di more, di biancospino; delle basse foreste di oleandri, di filliree, di terebinti, di ginepri, d’olivastri, di tamerici e d’umili palme nane; dei boschi d’elei, di mandorli, di agrumi, di roveri, d’agrifogli, di carrubi, d’ulivi, di sugheri, di perastri, di noci, di castagni, d’avellani; di tutta la flora arcaica superstite ancora con molti esemplari sulle rupi terziarie. Ma è anche il respiro dei suoi comignoli, dei rustici forni dove cuoce il pane casalingo, delle carbonaie, degli stazzi e dei «furriadroxius», degli ovili, dei villaggi di schisto, di granito, di trachite o di fango. E soprattutto è l’odore delle sue rocce, arroventate dalla fiamma millenaria di un sole implacabile, che cuocendo quelle vertebre di sasso ne distilla l’essenza antica e più segreta.

Su queste pietre, adesso, occorre anzi intrattenerci un poco per decifrare ed intendere meglio la natura e l’anima di quest’isola, indissolubilmente legata fin dalle origini, per la sua stessa struttura, ad una sorte petrosa.

Anche una leggenda, che narra la nascita di questa terra, sottolinea il ruolo preponderante di queste rocce nella composizione della Sardegna e, come vedremo, anche nelle sue vicende umane.

Questa leggenda racconta che l’isola nacque con tutte le membra di sasso, perchè al Signore, che la creò per ultima, era avanzato soltanto un mucchio di pietre, ch’Egli depose in mezzo al mare, comprimendole e segnandole col suo sandalo di fiamma. La mitica invenzione adombra con evidenza un dato obbiettivo: commenta cioè col suo linguaggio di favola l’esuberanza e la versatilità delle risorse petrografiche, generate nel grembo della Sardegna da un lunghissimo travaglio geologico. Tutte le quattro ere principali hanno infatti lasciato qui tracce evidenti ed innumerevoli del loro passaggio.

Il Paleozoico è rappresentato dai porfidi, dal permico, dai graniti, dal silurico, dal devonico e dal cambrico, il Mesozoico si esprime con le calcari dolomie, le arenarie, le marne; il Terziario si articola nei basalti, nelle trachiti recenti ed antiche, nel miocene e nell’eocene; il Quaternario infine si manifesta con le terre alluvionali e con le dune.

Il quadro è dunque orchestrato con una eccezionale fantasia di timbri e di accordi, con una inesauribile ricchezza d’effetti. E mentre genera proprio con questa sua complessità multanime quella varietà di cadenze, di colori, di tagli panoramici e di prospettive che caratterizza il paesaggio sardo, giustifica anche l’incidenza che le pietre hanno sempre avuto nella storia e nella civiltà dei sardi.

Sono queste infatti il tema perenne delle loro favole, che narrano d’uomini e d’animali pietrificati, d’esseri perversi che dopo il maleficio furono tramutati in sasso, di creature malvage o superbe e di antichi mostri imprigionati nelle rupi per la loro protervia.»

Marcello Serra
Da “Sardegna quasi un continente”
di M. Serra
Ed. Fossataro – Cagliari, 1958

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