blog aziendale di LA JACARANDA
locanda con cucina di Sant'Antioco



Sardegna, Sulcis, Sant'Antioco, La Jacaranda:
luoghi, eventi, curiosità
tanti motivi per venire qui


domenica 15 maggio 2016

Pinuccio Sciola - Un piccolo ricordo

Sant’Antioco, Aprile 1988

Pinuccio Sciola qualche anno prima aveva realizzato a Sant’Antioco, proprio nella facciata laterale dell’ex lavatoio, recentemente “recuperata” a questa forma artistica, un bellissimo murales poi improvvidamente fatto scomparire alla fine degli anni ’90. Aveva, in precedenza, realizzato un murales nella facciata del nuovo municipio di Tratalias (le pietre - la Sardegna - intrappolate dal filo spinato… ), anche questo sconsideratamente scomparso…, e allestito con sue sculture alcuni giardini pubblici nel Sulcis (Giba, Teulada..). L’anno precedente aveva allestito una mostra delle sue sculture a Santa Teresa di Gallura, una mostra “diffusa” su tutto il territorio comunale, di grande effetto.


Profittando degli ottimi rapporti personali con l’assessore della cultura e pubblica istruzione dell’epoca (Lello Asunis) fu invitato a Sant’Antioco per cercare di riproporre la stessa mostra di Santa Teresa nella nostra isola.
Si presentò nell’ufficio del Sindaco, in un giorno di primavera, di primo mattino; era scalzo, vestito con la sua solita apparente trasandatezza, e stette ad ascoltare, con grande cordialità e attenzione,  le richieste che gli venivano fatte. Quando spettò a lui parlare, rimase per un attimo senza parole: si capiva che trovava difficoltà a rispondere, temendo forse di apparire arrogante, spocchioso, poco educato; alzandosi quasi di scatto, uscì dall'ufficio, dicendo solo “ritorno subito”. Dopo qualche minuto rientrò: aveva preso dalla sua macchina alcuni libri che depose, senza dir nulla, sulla scrivania del Sindaco; si trattava dei cataloghi, ricchi volumi, ricercati dal punto di vista tipografico ed editoriale, delle sue ultime mostre (quelle allestite alla Rotonda di Besana e Piazza degli Affari a Milano del 1984,  alla Quadriennale di Roma del 1985, in una grande mostra itinerante nelle più importanti città della Germania fra il 1986 ed il 1987, e per ultima  quella di Santa Teresa).
Attese che fossero consultate (direi, ammirate) dai presenti ed infine disse: “Mio malgrado, forse, ora io sono questo….sono a questi livelli…e fare una mia mostra, a questi livelli, necessita di una programmazione di alcuni anni, di un costo notevole, di un allestimento che richiede tempo e spesa che io non voglio che voi dobbiate sopportare. Non posso impegnarmi ad allestire una mia mostra con poca spesa e con due mesi di tempo….”. Fu difficile dargli torto: eravamo decisamente in un’altra dimensione!
Fu però estremamente gentile e si rese disponibile ad esaminare qualcosa di alternativo, ma ogni ipotesi risultò poco compatibile rispetto a suoi precedenti impegni assunti e non fu possibile fare nulla.
Quell'estate l’Amministrazione Comunale organizzò a Sant'Antioco una mostra dei disegni di Franco Putzolu, il quale, arrivato in paese per portare le sue opere e per allestire la mostra, portò anche – a sorpresa – una scatola che gli aveva consegnato Pinuccio Sciola: conteneva una decina di statuine in terracotta da lui realizzate e consegnate a Putzolu perché fossero esposte nella mostra insieme ai suoi quadri e disegni; terrecotte mai prima di allora esposte al pubblico, che Pinuccio Sciola creava quasi solo per suo personale diletto, riproducendo personaggi “importanti” del suo paese (Is Prinzipales), ma anche e soprattutto persone comuni, agricoltori, pastori, diseredati: un omaggio da parte dell’artista alla sua gente, alle persone che lo avevano visto crescere, consigliato, aiutato e che erano state ispirazione artistica per le sue opere d’arte. Solo dopo molti anni, completata la realizzazione con altri pezzi, le terrecotte furono raccolte in un catalogo fotografico ed in una mostra con il titolo “Genti de bidda mia” (Gente del mio paese), che Pinuccio continuò a realizzare e custodire gelosamente a casa sua.


Riporta un bell'articolo che racconta di una visita a casa del Maestro e pubblicato su questa pagina in rete: http://www.sardiniafashion.com/events/pinucciosciola/index.asp 
"La sala da pranzo è circondata da tante piccole opere. Scopriamo all'interno di una cassa delle bellissime terrecotte. Lo Sciola dei murales e delle sculture parlanti è anche maestro nella lavorazione delle argille. Sono figure simbolo di una Sardegna contadina: uomini temperati dal tempo, con la faccia masticata dal sole, che dialogano tra loro.”


Aver concesso a Sant'Antioco il privilegio di esporle, in anteprima assoluta, fu un piccolo, prezioso e graditissimo omaggio al nostro paese, non richiesto e forse anche immeritato.
Il regalo di un artista grandissimo, ma soprattutto da un uomo di una semplicità disarmante, lontanissima dall’ego ipertrofico che ti aspetteresti da un personaggio di grandissima fama e successo, ed invece umile, disponibile, grande come persona almeno quanto grande è la sua arte.

Grazie ancora, anche oggi per allora, Maestro!




giovedì 21 aprile 2016

“WE LOVE TURRI”

Alla Torre dei mille scatti

Il giardino rispuntò……



C’era la Torre dei Mille Gatti, uno dei tanti “giogus antigus” che una volta i bambini facevano in casa, quando il tempo non permetteva loro di giocare in strada:

“Dalla torre dei mille gatti, il primo gatto mi scappò,….”  
(vedi nota in fondo a questo post)

E c’è anche, a Sant'Antioco,  la Torre dei Mille Scatti, Torre Canai, la nostra Torre, che può essere chiamata così  perché il promontorio sul quale si erige e l’imponente edificio sono forse i luoghi in assoluto preferiti da fotografi professionisti e dilettanti: sia nelle foto antiche di Sant'Antioco (come ricorda il compianto Pinuccio Orlando nel suo libro “I toponimi raccontano”) come, ovviamente, ai giorni nostri, alle reflex digitali ma anche alle foto con i telefonini.

La torre vigila su una delle più incantevoli località della costa sulcitana, dove il litorale roccioso a picco sul mare offre panorami di grande intensità; è uno dei luoghi più suggestivi dell'intera isola di Sant'Antioco per la trasparenza del mare ed i suoi caratteristici riflessi dal blu cobalto al verde smeraldo: difficile resistere alla tentazione di scattare qualche foto, difficile fare una brutta foto con un simile soggetto!


La Torre Canai sorge sul capo “su moru”, promontorio meridionale dell’isola di Sant’Antioco, oggi chiamato “Turri”, vicino alla rinomata spiaggia di Co ‘e quaddus; fa parte del numeroso gruppo di torri costiere ancora oggi presenti in Sardegna e conservate in condizioni più o meno precarie.
(per conoscere meglio la sua storia rimandiamo a questo sito:
http://italianostrasardegna.blogspot.it/2014/07/estate-di-novita-alla-torre-canai-di.html?spref=bl )

Per restare sulla storia recente, ricordiamo che dal 1994 è stata finalmente restituita alla fruizione collettiva dall’associazione Italia Nostra che, dopo averla ottenuta in concessione nel 1988, ha effettuato un intervento di restauro in collaborazione con la Soprintendenza ai Beni Culturali di Cagliari e con il Ministero dell’Ambiente.

Oltre al restauro interno, la Torre è stata circondata da un giardino botanico progettato dal naturalista Sergio Todde, che ha classificato le specie autoctone presenti nell’area, e in questo giardino mediterraneo furono realizzati interventi di riqualificazione del patrimonio floristico e vegetazionale e predisposti dei sentieri natura ed una adeguata recinzione.



Nel corso degli anni, le intemperie e gli atti vandalici hanno parzialmente compromesso quel mirabile lavoro di sistemazione dell’area circostante la Torre, che necessitava di un serio intervento di recupero.
E non potevano essere che i fotografi, grandi debitori di fortissime sensazioni che la Torre ha loro regalato, a farsi carico di questa meritevole opera, con il progetto “We love Turri”


“We love Turri” ha preso avvio nell'agosto del 2015 con la mostra benefica “Ritratto di un’isola”, che aveva l’obiettivo di ridare vita alla Torre Canai rendendola di nuovo fruibile nella sua interezza attraverso il recupero e la messa in sicurezza del prestigioso giardino, lo spazio verde ai piedi della struttura che vanta un’importante varietà di specie botaniche.
Con la vendita delle fotografie che componevano la mostra “Ritratto di un’isola”, il Circolo Fotografico F/7.1, promotore dell’iniziativa, è riuscito nell'impresa e, nello specifico, ha realizzato gli interventi programmati: in particolare, il rifacimento  della staccionata che delimita l’orto botanico, creando le condizioni per garantire la visita del sito grazie alla realizzazione di punti panoramici.

Il sito ha infatti enormi potenzialità, sia in riferimento alla fauna spontanea che cresce indisturbata in quel fazzoletto di terra, sia per la presenza di svariate specie di animali selvatici (in particolare avifauna) che abitualmente si muovono tra la macchia mediterranea tipica della zona.


Ed è proprio per la “grandezza” di Turri che il Circolo Fotografico F/7.1 organizza questa settimana un evento inaugurale della nuova veste del giardino botanico della Torre, con il duplice obiettivo di celebrare sia la Torre, sia l’Earth day, appuntamento a livello mondiale che significa letteralmente “Giornata della Terra”.

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Saranno quattro intensi giorni di eventi, dal 22 al  25 aprile 2016: questo il programma dettagliato:

22 APRILE:
Giornata denominata, a livello mondiale, Earth day
Ore 18:00 Proiezione del video che racconta il progetto “We love Turri”, dalla mostra benefica fino all'esecuzione dei lavori, realizzato dal direttivo del Circolo Fotografico;

Ore 19:00 Inaugurazione della mostra fotografica naturalistica sulla flora e l’avifauna locale, all'interno della Torre;

Ore 19:30 Convegno sulla storia di Torre Canai a cura di Italia Nostra Sardegna con la collaborazione dell’Archivio storico comunale di Sant'Antioco.
Partecipano: Graziano Bullegas, Felice Di Gregorio, Walter Massidda, Antonello Meli, Sandro Scintu, Luciano Rossetti.

23 APRILE:
Ore 10:30 Workshop sulla botanica a cura della guida ambientale Giovanni Paulis, esperto di macchia mediterranea e flora spontanea della Sardegna.

Ore 16:30 Workshop sull'avifauna locale, a cura di Francesco Livretti, naturalista esperto di avifauna;

Ore 21:00 Concerto musicale e rinfresco per gli ospiti

24 APRILE:
Ore 9:00 Trekking “Alla scoperta dell’isola di Sant'Antioco”, con partenza ed arrivo presso Torre Canai. Al rientro dalla passeggiata, degustazione enogastronomica di prodotti tipici locali.

25 APRILE:
Ore 9:00 Workshop di macrofotografia curato dal fotografo Fabio Corona.



E’ infine doveroso citare per nome, insieme a tutto il Circolo Fotografico F/7.1 di Sant'Antioco, ed in particolare ai sette soci fondatori, promotori  benemeriti dell’iniziativa, i fotografi che, regalando le loro opere che sono state poi messe in vendita, hanno contribuito in modo determinante alla sua realizzazione del progetto:
Davide Atzori, Cristian Calabrò, Gabriele Bullegas, Alessandra Balia, Valentina Steri, Francesca Francesconi, Gianni Cané, Fabrizio Schirru, Antonio Biggio, Veronica Campus, Giacomo Cherchi, Jacopo Longu, Carlo Eustacchi, Elisabetta Bullegas, Stelio Usai.


nota:

“Alla torre dei mille gatti” era un gioco molto semplice: si stava tutti seduti in circolo e il gioco era comandato da un capo, di norma scelto tirando a sorte, che prendeva il nome di “capugattu”; tutti gli altri assumevano un nome identificato ognuno con un numero diverso (primu gattu, secundu gattu, terzu gattu e così via).
Cominciava il gioco “capugattu” annunciando:
–  “Alla torre dei mille gatti primu gattu mi scappò” (ma poteva essere anche il 2^ o il 5^ o altro preso a caso);
Il gatto chiamato in causa doveva essere pronto a rispondere e a non sbagliare il numero che lo identificava, dicendo:
–  “primu gattu non fu”;
Capogattu, di rimando, chiedeva:
–  “E chi fu?”
Il gatto nominato doveva essere pronto a dire il nome di un altro dei gatti in circolo (capugattu compreso), per esempio:
– “terzu gattu”
E si andava avanti così fino a quando non si incorreva in errore che poteva consistere nell’intervenire pur non essendo chiamato in causa o nell’intervenire in ritardo rispetto alla chiamata o chiamare in causa un gatto eliminato dal gioco.
A questo punto chi aveva sbagliato “pagava pegno” con conseguenti risate e divertimento assicurati e veniva eliminato dal cerchio che continuava fino alla totale eliminazione di tutti i gatti tranne uno: il vincitore.

giovedì 7 aprile 2016

ANTIOCO

Santi, Re, Filosofi,
e anche... Barbieri e Parrucchieri





Nell’occasione della Festa del nostro Patrono (domenica 11 aprile, seconda domenica dopo Pasqua) abbiamo cercato altri 'Antiochi' ricordati nella mitologia e nella storia.
Oltre ai Re di Persia (da Antioco I° ai suoi discendenti fino ad Antioco XIII° detto  l’Asiatico, sconfitto da Pompeo, che lo privò del trono e della Siria, che divenne provincia romana), si ricordano un Antioco filosofo,  originario di Ascalona,  nell'antica Grecia, ultimo capo della scuola platonica e discepolo di Filone; teneva lezioni sia in Grecia che a Roma, dove le sue lezioni vennero seguite da Cicerone e da suo figlio Bruto; ed ancora alcuni Santi con lo stesso nome (il Monaco Sant'Antioco Sabaita, il martire Antioco celebrato insieme all'altro martire Nicostrato il 21 maggio), insieme a tanti altri.
Il nome Antioco infatti è sempre stato molto diffuso,  sia in nord Africa che in Asia ed in Grecia, come anche nella Roma Antica.
Fra questi, uno è stato reso celebre da un famoso epigramma di Marziale (Marco Valerio Marziale, Epigrammi, Libro Undicesimo, n.84): si tratta di Antioco tonsorem (il tonsor nell'antica Roma svolgeva le funzioni sia di barbiere, per il taglio della barba, che di parrucchiere per le acconciature dei capelli), un barbiere molto particolare che Marziale celebra in questo modo:

Qui nondum Stygias descendere quaerit ad umbras,
Tonsorem fugiat, si sapit, Antiochum
...
Haec quaecumque meo numeratis stigmata mento
In vetuli pyctae qualia fronte sedent
Non iracundis fecit gravis unguibus uxor
Antiochi ferrum est et scelerata manus.
Unus de cunctis animalibus hircus habet cor:
Barbatus vivit, ne ferat Antiochum.

TRADUZIONE

Chi non vuole ancora discendere fra le ombre dello Stige,
eviti il barbiere Antioco, se è saggio.
...
Tutti questi sfregi che mi vedete sul mento,
simili a quelli sulla fronte di un vecchio pugile,
non me li fece la mia insopportabile moglie con unghie rabbiose:
son opera dei ferri e della scellerata mano di Antioco.
Unico di tutti gli animali,  il caprone,  ha buon senso:
vive barbuto per non vedersela con Antioco.



Nell’antica Roma, il taglio della barba era rito di passaggio dall'adolescenza alla giovinezza: avere una barba troppo lunga e soffice era sinonimo di furbizia orientale (la barba si usava in Grecia, a Roma era simbolo di deboscia), e sin dai tempi della Repubblica, con Scipione l'Emiliano (185 a.C. - 129 a.C.), si preferisce avere il mento rasato. Cesare e  Augusto considerano una trascuratezza non avere il volto ben rasato ogni giorno.
Curiosamente si sono trovati molti rasoi risalente all'età preistorica o etrusca ma quasi nessuno dell'età romana: questo perché mentre quelli più antichi erano in bronzo e si sono conservati,  quelli romani erano in ferro e sono stati consumati dalla ruggine.
Questi rasoi in ferro, benché ci si sforzasse di affilarli il più possibile, venivano poi usati sulla pelle nuda del malcapitato senza alcun uso di sapone o altri unguenti: tutt'al più si spruzzava il viso da radere con dell'acqua. Rari erano i barbieri che non sfregiassero regolarmente i loro clienti, come appunto Marziale ha ricordato.
Il tormento della rasatura era tale che quando l'imperatore Adriano, all'inizio del II secolo, si fece crescere la barba, la gran parte degli imperatori e del popolo romano lo imitarono per i cento cinquant'anni seguenti con profondo sollievo, senza alcun rimpianto per quella tortura che avevano sopportato per due secoli.
Cesare sbarbato e Adriano barbuto

Adriano sceglie, per primo, quel look barbuto, sicuramente  traumatizzato da tagliuzzamenti di barbieri imperiali all'alba del II secolo dopo Cristo e forse per nascondere una cicatrice lasciata dal rasoio del suo tonsor:  magari era proprio quell’Antioco ricordato da Marziale,  e per questo responsabile dell’odio di Adriano nei confronti del nostro Santo Antioco, del quale dispose il martirio?

Nel II secolo d.C. l'esigenza per i più raffinati di recarsi più volte al giorno dal barbiere fa sì che le loro botteghe diventino luogo d'incontro per oziosi; secondo altri invece la moltitudine che s'incontra nella tonstrina, ne fa un luogo d'incontro, di pettegolezzi, di scambio di notizie, un vero variegato salotto di varia umanità, tanto che diversi pittori, dal secolo di Augusto in poi, ne fanno oggetto dei loro quadri come già avevano fatto gli Alessandrini.
Il negozio del barbiere, da allora e forse fino a qualche tempo fa, era quello che potrebbero essere i social di oggi!














BARBIERI A SANT'ANTIOCO 

nel secolo scorso




Nei miei ricordi era così anche a Sant'Antioco: le barberie erano sempre molto affollate, soprattutto nella settimana che precedeva le Feste di Pasqua e di Natale ed in quella che precedeva la Festa Patronale di primavera; nell'attesa del proprio turno per essere serviti, si discuteva dell’operato degli amministratori, di quanto succedeva in paese, si pettegolava con gli altri avventori e con lo stesso barbiere, che anzi era il moderatore delle discussioni o lo stimolatore quando la discussione languiva: teneva "salotto" e più era in questo abile, più fidelizzava la clientela! Quello che succede oggi su Facebook!

















Ne ricordiamo qualcuno, dei barbieri antiochensi? 
C’era il signor Mario Piria, barbiere e violinista, per anni operante nella zona di piazza Umberto, specializzato nel taglio “all’Umberta”; nella zona di Piazza di Chiesa (l’attuale piazza della Basilica) avevano bottega Giovanni Selis, insieme al fratello Franco poi messosi in proprio in Piazza Repubblica, il signor Cara, Franco Piras, ed il signor Matzedda;
nel Corso si ricorda il “salone” dei signori Cannas ed Orrù, che faceva grande sfoggio di un seggiolino, per servire i bambini, dotato di una testa di cavallo in cartapesta, con briglie e fregi;



E sempre nel Corso, il signor Renato, grande scacchista e camminatore, ed in anni più recenti Franco Marroccu; nella Via Roma un altro barbiere molto apprezzato: il signor Antioco Massidda (..ecco un altro Antioco barbiere!!);  ed infine il mitico Nino Espa, prima in Viale Trento, ed ancora oggi in attività nella Via Roma, il decano dei barbieri e parrucchieri della Sant’Antioco di oggi.


Qualcuno ricorda i loro profumatissimi calendarietti "erotici" ?

Tutti  personaggi ricordati da tanti con grande simpatia e sicuramente apprezzati dai loro clienti più di quanto Marziale stimasse il romano Antioco!

martedì 29 marzo 2016

BIONDA DI SARDEGNA



Sono poche, oltre ovviamente al mare ed alle spiagge, le immagini evocative della Sardegna per tutti i “continentali”: la bandiera dei quattro mori, il porchetto arrosto, Gigi Riva e ultima (ma forse non l’ultima) la Birra Ichnusa.

Ichnusa, nome che deriva dal latino "Ichnos", a sua volta dalla traslitterazione del termine greco Ἰχνοῦσσα (da Ἰχνοῦσ = orma di piede) e che è l’antico nome dell’isola; una parola nella quale la leggenda diventa storia ed insieme la fanno diventare una parola magica e fanno diventare magica la Sardegna.
Ichnusa significa "impronta", in quanto - secondo la mitologia - le antiche divinità, dopo aver creato il mondo, gettarono l’ultima manciata di sassi in mare per poi calpestarla, lasciando così la loro “impronta” divina. La roccia brulla venne ricoperta da una vegetazione bellissima e popolata da animali unici, e fu così che questo luogo divino si trasformò in un paradiso terrestre: la Sardegna.

Aver scelto questo nome fortemente evocativo, insieme all'emblema sardo dei quattro mori che compare da sempre nelle etichette, unite all'indubbia qualità del prodotto, hanno fatto diventare da subito la Birra Ichnusa la birra sarda per eccellenza, la bevanda nella quale la Sardegna si identifica e la birra con la quale i non sardi identificano la Sardegna.

C’è un detto che i sardi utilizzano per descrivere un aspetto, non proprio fra i migliori del proprio carattere: "centu concas, centu berritas" (cento teste e cento cappelli...tutti di forma diversa, cento modi di pensare): io aggiungerei …..ma una sola birra!

L’Ichnusa mette d’accordo il gusto di tutti i sardi, in controtendenza alle peculiari caratteristiche sarde: orgogliosi sempre, ma divisi su tutto.


In Sardegna si beve molta birra: secondo una recente indagine pare che se ne beva più del doppio rispetto alla media delle altre Regioni italiane e la birra che si beve è quasi esclusivamente l’Ichnusa. Anche in altri luoghi d’Italia esiste una identificazione locale con la birra, in Sardegna però è un’intera regione che beve una sola birra. Da sud a nord, da est a ovest la proposta è sempre la birra, con questo nome antico e con l’effige dei Quattro Mori. Nemmeno la persistente rivalità fra Cagliari Sassari divide i sessanta litri pro capite di ogni sardo in una possibile diversità di scelta: l’Ichnusa mette d’accordo il gusto di tutti gli isolani.



La birra sarda nasce nel 1912, anno in cui Amsicora Capra apre il primo stabilimento Ichnusa a Cagliari. Dopo la seconda guerra mondiale (durante la quale la produzione fu sospesa) l’attività produttiva riprende appieno.
Ichnusa cresce, e il legame con i sardi e la Sardegna diventa sempre più forte e indissolubile. Nel 1963 la produzione si sposta da Cagliari alla nuova  unità produttiva di Assemini, il primo stabilimento in Italia a installare serbatoi di fermentazione verticali cilindro-conici.
Lo spirito innovativo e di forte legame territoriale della Ichnusa è la chiave di un successo, che nel 1981 porta la produzione a elevatissimi standard di efficienza con oltre 400.00 ettolitri l’anno prodotti; numeri che spingono, nel 1986, Heineken Italia ad acquistare l’azienda.

L’Ichnusa diventa quindi birra industriale, non così diversa da altri marchi della medesima proprietà o di altre multinazionali, ma continua ad essere “la più amata dai sardi”, conservando il nome accattivante, e lo stemma della tradizione nelle etichette. Il prodotto non è forse più quello, ma il consumo ed il monopolio della birra Ichnusa in Sardegna resta immutato ed è qualcosa che mette in crisi qualsiasi teoria della libera concorrenza e della globalizzazione.
In Sardegna si continua a bere, quasi esclusivamente, birra Ichnusa; i turisti continuano a chiedere e bere solo birra Ichnusa.

foto Daniela Crisioni




















Eppure sono sorti negli ultimi anni numerosi ed ottimi birrifici artigianali (a Sant’Antioco uno dei migliori: Rubiu), ma tutti soffrono problemi di produzione e di distribuzione per diventare qualcosa di più di un eccellente prodotto di nicchia.

http://www.rubiubirra.it/

E’ una magia che si perpetua: Ichnusa continua ad essere la Regina; l’unica e sola BIONDA di SARDEGNA!

domenica 17 gennaio 2016

E DISETTE DE ZENA'


FESTA DI SANT'ANTONIO:

I FUOCHI - I DOLCI - IL CARNEVALE


I FUOCHI


In tantissimi centri dell’isola nella notte fra il 16 ed il 17 gennaio si accendono e si benedicono i fuochi in onore di Sant'Antonio; il legname viene accatastato fino a formare un’altissima piramide: Su Fogarone, o Su Foghidoni. La festa dura due giorni tra balli, canti tradizionali, buon vino e tipici dolci di sapa, segnando l’inizio del Carnevale e quindi la prima uscita (“sa prima essia”) delle caratteristiche maschere tradizionali isolane.


LA MAGIA DEI DOLCI DI SANT'ANTONIO


I dolci confezionati in onore di Sant’Antonio sono dolci speciali, dolci che hanno lo scopo di legare a sé il santo, come con un contratto.
Tutti a base di sapa e pistiddu (saba addensata con l’uso di semola posta in cottura) che avevano e hanno almeno due scopi: ringraziare il santo per grazie ricevute, o richiedere direttamente al santo una futura grazia.
Ma qui viene il bello: la componente pagana della religiosità sarda salta fuori inevitabilmente. Confezionare un dolce in onore di Sant’Antonio non significa semplicemente richiedere una grazia, significa legare il santo a sé, significa quasi obbligarlo a fare la grazia in un atto di religiosità che somiglia molto di più alla magia. A legar
e il santo a chi ha confezionato il dolce è la logica della reciprocità che influenza ancora oggi grandemente la Sardegna...
Il santo, assimilato ora a un qualsiasi vicino di casa che riceve in dono il regalo non ha possibilità: deve restituirlo, è obbligato a sa torradura...(ricambiare un favore ricevuto).


da Claudia Zedda Kalaris WebBlog
http://www.claudiazedda.it/la-magia-dei-dolci-di-santantonio-abate-in-sardegna/


INIZIA IL CARNEVALE


 “Balla chi commo benit carrasecare” (balla, che ora arriva il Carnevale), questo è l’invito dei Mamuthones e Issohadores di Mamoiada, dei Boes e i Merdules di Ottana e delle  altre maschere ancora che affollano le vie dei paesi della Sardegna.
La festa del 17 gennaio segna quindi l’inizio ufficiale del Carnevale.
A Carloforte e Calasetta (di tradizione ligure) è proprio questa giornata la prima festa di carnevale, sintetizzata dal vecchio detto: "l'epifania tutte le feste si porta via....poi vegne Carlevò e u sai turne a remurcò" (poi arriva il carnevale e se le rimorchia di nuovo) ... e dalla filastrocca recitata da tanti anni a bambini carlofortini: “ Au Disette de Zenà u incuminsa Carlevà” (il 17 gennaio inizia carnevale)