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mercoledì 15 gennaio 2014

SANT'ANTONI E' SU FOGU

( Sant'Antonio del Fuoco )

Sant’Antonio Abate, si festeggia il 17 gennaio in tutta Italia ed anche in altri paesi europei; a questa festa si associa in molte regioni, la benedizione degli animali, o del pane, e quasi ovunque del fuoco.
I falò si accendono dovunque nella notte fra il 16 ed il 17 gennaio, e da questa tradizione la festa prende il nome di “Falò di S. Antonio”. Il fuoco, insieme agli animali domestici, è sempre rappresentato infatti  nelle immagini sacre di S. Antonio, al punto che ad alcune malattie della cute viene dato ancora oggi il nome “Fuoco di S. Antonio”. Per l’occasione, a Napoli, vi sono persino numeri propiziatori  della buona fortuna da giocare al lotto, naturalmente sulla ruota di Napoli: il 4, il fuoco; l’8, il porco; il 17, sant’Antonio.
All’imbrunire del giorno della vigilia, in un’atmosfera magica, le persone si recano nel luogo scelto tradizionalmente per l’accensione del falò,  in un rituale fra il sacro e il profano, talvolta pregando attorno al fuoco purificatore benedetto dal parroco.Inizia così il rito pagano di probabile origine greca (il mito di Prometeo che rubò il fuoco agli dei) dedicato all’elemento “sacro” della terra, associato al colore del sangue e al calore del corpo e quindi alla vita.
E’ una ulteriore dimostrazione di come i riti cristiani in qualche modo si innestano (si impadroniscono?) di antichi riti pagani preesistenti, accostando il culto e la devozione per il Santo alla tradizionale cerimonia purificatoria del fuoco, ben conosciuta da tante civiltà pre-cristiane, da quella celtica, a quella romana, a quella nuragica.
Sembra documentato storicamente che il santo sia morto proprio il 17 gennaio e la sua festa si è trovata, per caso, nelle vicinanze delle antiche feste pagane che si celebravano in questo mese; così la fantasia popolare lo ha fatto diventare un santo rurale, protettore degli animali da stalla.
Nell’antica Roma a gennaio si celebrava la Festa dell’agricoltore (le Ferie Sementine) durante le quali si procedeva alla cerimonia di espiazione e purificazione, offrendo doni alle dee Terra e Cerere. Come ci racconta Ovidio, l'aratore doveva sospendere il suo lavoro, poiché la terra quando è fredda soffre per il solco, le giovenche dovevano riposare perché verrà poi il tempo del lavoro, le due dee dovevano essere placate con il sangue della scrofa e coi i doni.
Quando le reliquie del santo abate giunsero in Francia, i primi cristiani trasferirono nel santo gli attributi del dio Lug,  il dio del gioco e della divinazione, colui che risorgeva con la primavera, figlio della Grande Madre celtica cui erano consacrati i cinghiali e i maiali come alla romana Cerere.
Ma la Festa di Sant’Antoni de su fogu è molto sentita in tutta la Sardegna, e costituisce, per gli aspetti mitico-rituali, un momento suggestivo.
Anche nei paesi sardi, in un connubio tra sacro e profano, i bagliori di grandi falò accesi illuminano la notte tra il 16 e il 17 gennaio, riunendo la gente nella propria piazza per rinnovare l'antico rito ancestrale dedicato al patrono della pastorizia e dell'agricoltura.
L’importanza che la figura di Sant’Antonio Abate ha ancora oggi nel contesto culturale sardo è comprensibile solo se si conosce il racconto del furto del fuoco.
Infatti Sant’Antoni de su fogu, è il Prometeo della tradizione sarda: colui che rubò il fuoco dall’inferno per regalarlo agli uomini. Secondo la leggenda, Sant’Antonio discese all'inferno per trafugare, con astuzia, una scintilla incandescente, nascondendola nel suo bastone cavo, per donarla, sulla terra ghiacciata, agli uomini che ancora non conoscevano questo elemento. Così la racconta Giuseppe Calvia-Secchi alias Lachesinu,  in un suo articolo dal titolo “Leggende Sarde”:  
"Quando nel mondo non esisteva il fuoco, Sant’Antonio andò all’inferno per prenderlo, ed entrovvi con una ferula tra le mani colla scusa di scaldarsi. Appena i diavoli lo videro, cominciò uno di loro a far gran rumore gridando: -Ben ve lo avea detto che Antonio ci avrebbe ordito qualche inganno! Ma Sant’Antonio non se ne dette per inteso, accese la ferula, e usci fuora dall’inferno esclamando a gran voce: -Fogu fogu – peri su mundu."
Ed è per questo gesto così importante che in tantissimi centri dell’isola  si accendono e si benedicono i fuochi; il legname viene accatastato fino a formare un’altissima piramide chiamata Su Fogarone, o Su Foghidoni. La festa dura due giorni tra balli, canti tradizionali, buon vino e tipici dolci di sapa, segnando l’inizio del Carnevale e quindi la prima uscita (“sa prima essia”) delle caratteristiche maschere tradizionali isolane.
 “Balla chi commo benit carrasecare” (balla, che ora arriva il Carnevale), questo è l’invito dei Mamuthones e Issohadores di Mamoiada, dei Boes e i Merdules di Ottana e delle  altre maschere ancora che affollano le vie dei paesi della Sardegna.
La festa del 17 gennaio segna quindi l’inizio ufficiale del Carnevale.
A Carloforte e Calasetta (di tradizione ligure) è proprio questa giornata la prima festa di carnevale, sintetizzata dal vecchio detto: "l'epifania tutte le feste si porta via....poi vegne Carlevò e u sai turne a remurcò" (poi arriva il carnevale e se le rimorchia di nuovo) ... e dalla filastrocca recitata da tanti anni a bambini carlofortini: “ Au Disette de Zenà u incuminsa Carlevà” (il 17 gennaio inizia carnevale)


ascolta uno spezzone della filastrocca musicata ed eseguita da Mario Brai

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