Furono custodite in una cassa con quattro chiavi, dallo stesso arcivescovo assegnate in custodia a “los Capitulares de la Cathedral de Iglesias con condicion que si en algun tiempo se bolviesse a poblar la Isla de S.Antiogo, se las hayan de restituir, siendo aquel su proprio lugar" (al Capitolo della Cattedrale di Iglesias, con la condizione che, se in qualsiasi tempo si dovesse ripopolare l’isola di Sant'Antioco, le dovessero restituire, essendo quello il suo proprio luogo).
Da allora, ogni anno, "po sa festa manna" (in occasione della Festa Patronale) che, allora come oggi, si celebrava la seconda domenica dopo Pasqua, seguendo la statua del Santo, le reliquie venivano portate processionalmente nell'Isola, ma terminate le celebrazioni facevano ritorno in Iglesias.
Intanto l’isola di Sant'Antioco andava progressivamente ripopolandosi, ma le sacre reliquie restavano ad Iglesias: che quelle Spoglie venissero portate sull'isola una volta all'anno, e solo per qualche giorno, non era sufficiente, non era naturale. Il Santo doveva ritornare!
Il Comune di Sant'Antioco, trascorsi 200 anni, ne fa richiesta al Capitolo ed al vescovo mons. Montixi, appellandosi all'impegno di restituzione stabilito nel 1615 da Mons. Desquivel. Ma il Capitolo non è dello stesso parere, ed anch'esso si fa forte della donazione in perpetuo del medesimo Desquivel del 1621 che corregge il precedente atto.
Nel giugno 1851 il Comune di Sant'Antioco insiste e tenta la via giudiziaria; il 29 marzo 1852 il Tribunale provinciale di Cagliari, accogliendo le istanze degli antiochensi, condanna il Capitolo alla restituzione delle Reliquie e degli arredi sacri relativi. Il Capitolo ricorre in appello.
Nel febbraio 1853, inoltre, in favore del Capitolo e contro il Comune di Sant'Antioco si schiera, come parte in causa, il Comune di Iglesias, argomentando che il Desquivel aveva affidato al Comune una delle chiavi del Reliquiario, quale compenso delle spese sostenute per i lavori di scavo e per la causa contro Sassari; vantava, in aggiunta, in suo favore la prescrizione di possesso ultra centenario.
La causa si concluderà il 9 ottobre 1855 con la sentenza pronunciata a Cagliari in favore del Comune di Sant'Antioco.
Ma la “discesa in campo” del Comune di Iglesias quasi sicuramente aveva acceso gli animi dei fedeli antiochensi, che non aspettarono la sentenza definitiva del tribunale di Cagliari: nell'anno 1853, due mesi dopo che entrava in causa il Comune di Iglesias, in Sant'Antioco, a conclusione degli annuali festeggiamenti di aprile, con un colpo di mano si impedì il ritorno delle Reliquie ad Iglesias.
Ma la “discesa in campo” del Comune di Iglesias quasi sicuramente aveva acceso gli animi dei fedeli antiochensi, che non aspettarono la sentenza definitiva del tribunale di Cagliari: nell'anno 1853, due mesi dopo che entrava in causa il Comune di Iglesias, in Sant'Antioco, a conclusione degli annuali festeggiamenti di aprile, con un colpo di mano si impedì il ritorno delle Reliquie ad Iglesias.
Il racconto desunto da una nota storica del defunto Mons.Armeni, profondo conoscitore e studioso della storia isolana, illustra come presumibilmente andarono i fatti.
Ecco ora la narrazione di Don Armeni.
"Nell'aprile del 1852 le Autorità locali avevano, in segreto, predisposto un piano da attuare per la "riconquista" del Santo. Il Sindaco Campus aveva chiesto al La Marmora un manipolo di militi che sarebbero intervenuti soltanto in caso di emergenza. I festeggiamenti, quell'anno, erano stati particolarmente solenni. Ma il lunedì, dopo la processione, inspiegabilmente, il Simulacro venne rinchiuso subito nella sua cassa. Forse gli iglesienti avevano intuito le intenzioni dei locali, ed il Capitolo aveva deciso di ripartire il martedì 12 aprile. Inutilmente il parroco Ravot si interpose perché, come era consuetudine, il simulacro rimanesse esposto alla venerazione dei fedeli fino alla partenza che era sempre fissata per il mercoledì.
Quella notte a Sant'Antioco dormirono in pochi; si attese l'alba con impazienza. All'ora stabilita erano tutti presenti e riuscirono a dissimulare i loro sentimenti fino alla "Croce delle Reliquie", dove il Simulacro e l'arca delle reliquie, sui loro rispettivi cocchi, davano l'arrivederci al paese.
Ma ad un cenno stabilito, i giovani e gli uomini di Sant'Antioco circondarono il cocchio con le Reliquie, ed al grido "Su Santu est su nostu e s'Arrelichia puru" (il Santo è nostro e anche le Reliquie) intimarono agli Iglesienti di partire senza l'arca.
"Maistu Casacca", vista la mala parata, fece schioccare la frusta e pungolando ferocemente il cavallo che trasportava il cocchio con la cassa del simulacro e l'argenteria, riuscì ad aprirsi un varco tra la folla e fuggì precipitosamente. Lo lasciarono andare, perché non si potevano accampare diritti sul simulacro.
Volarono i primi schiaffi di reazione agli insulti e agli epiteti lanciati dagli iglesienti che urlavano contro i locali "Fura Santus" (Ruba Santi). I più scalmanati staccavano dalle siepi circostanti pale spinosissime di fichi d'india ed i frutti acerbi ma spinosi di queste piante grasse. Ed iniziò un lancio feroce contro gli avversari che urlavano di dolore, colpiti dagli aculei: qualcuno di quei frutti fece centro sui bianchi ermellini dei prelati, insudiciandoli di rosso e di verde, mentre i cavalli, imbizzarriti, minacciavano di disarcionare i canonici avviliti e sgomenti per quell'avvenimento ignominioso.
L'alta tensione degli animi traspariva dai volti accesi dall'ira e minacciava di trascendere in una vera tragedia di sangue. I miliziani di scorta all'arca attendevano ordine di aprire il fuoco sulla folla inferocita e guardavano in cagnesco il manipolo dei colleghi che parteggiavano per i locali. Il Cav. Campus, vista la piega che stava prendendo la rivolta, ebbe un'idea geniale: perché non risolvere la contesa in campo atletico? Avrebbe issato una bandiera su di un'asta e le Reliquie sarebbero rimaste alla città la cui squadra avrebbe conquistato la bandiera. La proposta venne accettata. Si scelsero gli atleti tra i giovani dell'una e dell'altra parte. E la gara, degna di una olimpiade, iniziò tra le urla frenetiche dei presenti che incoraggiavano i loro beniamini. Gli atleti di Sant'Antioco si batterono da leoni, suscitando l'ammirazione di tutti e riuscirono per primi a strappare la bandiera tra gli applausi assordanti dei paesani. Furono portati in trionfo. Avevano ottenuto una vittoria che valeva più di una conquista della medaglia d'oro ai campionati olimpici. Essi stessi poi si caricarono sulle spalle l'arca, mentre gli iglesienti, con l'aria classica dei pifferi di montagna suonati, dovettero avviarsi alla loro città con lo scorno della sconfitta e soprattutto con nell'animo la profonda amarezza di aver perduto le Reliquie del Santo che avevano custodito per duecento trentasette anni. Inutilmente continuarono a lanciare il grido provocatorio di "Fura Santus" subissati dal grido di una marea di popolo che rispondeva "Su Santu est su nostu e s'Arrelechia puru".
"Maistu Casacca", vista la mala parata, fece schioccare la frusta e pungolando ferocemente il cavallo che trasportava il cocchio con la cassa del simulacro e l'argenteria, riuscì ad aprirsi un varco tra la folla e fuggì precipitosamente. Lo lasciarono andare, perché non si potevano accampare diritti sul simulacro.
L'alta tensione degli animi traspariva dai volti accesi dall'ira e minacciava di trascendere in una vera tragedia di sangue. I miliziani di scorta all'arca attendevano ordine di aprire il fuoco sulla folla inferocita e guardavano in cagnesco il manipolo dei colleghi che parteggiavano per i locali. Il Cav. Campus, vista la piega che stava prendendo la rivolta, ebbe un'idea geniale: perché non risolvere la contesa in campo atletico? Avrebbe issato una bandiera su di un'asta e le Reliquie sarebbero rimaste alla città la cui squadra avrebbe conquistato la bandiera. La proposta venne accettata. Si scelsero gli atleti tra i giovani dell'una e dell'altra parte. E la gara, degna di una olimpiade, iniziò tra le urla frenetiche dei presenti che incoraggiavano i loro beniamini. Gli atleti di Sant'Antioco si batterono da leoni, suscitando l'ammirazione di tutti e riuscirono per primi a strappare la bandiera tra gli applausi assordanti dei paesani. Furono portati in trionfo. Avevano ottenuto una vittoria che valeva più di una conquista della medaglia d'oro ai campionati olimpici. Essi stessi poi si caricarono sulle spalle l'arca, mentre gli iglesienti, con l'aria classica dei pifferi di montagna suonati, dovettero avviarsi alla loro città con lo scorno della sconfitta e soprattutto con nell'animo la profonda amarezza di aver perduto le Reliquie del Santo che avevano custodito per duecento trentasette anni. Inutilmente continuarono a lanciare il grido provocatorio di "Fura Santus" subissati dal grido di una marea di popolo che rispondeva "Su Santu est su nostu e s'Arrelechia puru".
I fatti di quell'anno ebbero uno strascico giudiziario qualche tempo dopo davanti al Tribunale di Genova, che, pur stigmatizzando gli abitanti di Sant'Antioco per il fanatismo e la violenza usata contro gli iglesienti, definiva positivamente per il Comune di Sant'Antioco la sentenza sollecitata dal vescovo Giovanni Battista Montixi.
Dopo la sentenza di Genova è cessata ogni contestazione, e non si è più toccato l'argomento.
Così dal 1853 - cioè da oltre 160 anni - è cessato quell'antico pellegrinaggio che per secoli aveva scosso tutta la Sardegna, e che più tardi - e precisamente nell'anno 1657 - Cagliari copiava col trasporto di S. Efisio a Nora e che ancor oggi continua con la sagra del primo maggio, così come da secoli si ripete quello della statua di Santa Maria di Monserrato, patrona di Tratalias,, che è ancora custodita nella cattedrale di Iglesias, e che ogni anno viene traslata nella sua bellissima chiesa di Tratalias in occasione della Festa Patronale per poi essere riportata ad Iglesias il martedì dopo la festa.
Così dal 1853 - cioè da oltre 160 anni - è cessato quell'antico pellegrinaggio che per secoli aveva scosso tutta la Sardegna, e che più tardi - e precisamente nell'anno 1657 - Cagliari copiava col trasporto di S. Efisio a Nora e che ancor oggi continua con la sagra del primo maggio, così come da secoli si ripete quello della statua di Santa Maria di Monserrato, patrona di Tratalias,, che è ancora custodita nella cattedrale di Iglesias, e che ogni anno viene traslata nella sua bellissima chiesa di Tratalias in occasione della Festa Patronale per poi essere riportata ad Iglesias il martedì dopo la festa.
Tra iglesienti ed antiochensi è rimasto solo, ancora oggi usato, l’epiteto "Furasantus", che antiochensi e iglesienti si lanciano reciprocamente, ora soltanto con sana ironia.
p.s. Anche gli abitanti di Bortigali venivano (o vengono ancora?) chiamati, specie dai bolotanesi, fura-Santos, sentendosi questi ultimi defraudati dell'onore di fare essi la festa della Madonna dei Sambuchi (“nostra Signora de Sauccu”), dai molti sambuchi che vi sono nella collina, in territorio di Bolotana, in cui si trova un’antica Chiesa a lei dedicata; la festa viene celebrata ogni anno, l’8 settembre, dai bortigalesi che vi destinano sempre un nuovo priore, il quale provvede alle feste con un forte dispendio.
Essendo l’antica chiesa nel loro territorio, agli abitanti di Bolotana non faceva certo piacere che la festa fosse organizzata dai Bortigalesi; tal ché in occasione dell'8 settembre ogni anno avvenivano delle furibonde risse tra i fedeli dei due centri... in onore alla Madonna. Ora non più: l'affronto è stato ormai dimenticato e gli animi si sono placati.
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