La "Pintadera", stampo per pintare, decorare il pane, indispensabile per marchiare di buoni auspici i dolci |
Le donne nuragiche cucinavano semplicemente e le loro tecniche di cottura erano sicuramente semplici, come arrostire, lessare, ma anche affumicare, salare e varie forme di fermentazione che serviva per realizzare formaggio, ma anche vino e aceto. Precisa era la conoscenza di una panificazione evoluta, ancora molto simile a quella tutt’ora praticata nell’isola. Si pensi a su civraxiu, pane poddine, su tundu, sa fresa e sas cotzulas e a molti pani cerimoniali marchiati con sas pintaderas. Tecniche di panificazione simili anche ad altri popoli del Mediterraneo. Quindi una alimentazione piuttosto raffinata: pani azzimi e lievitati (pane purile e cun madrighe) e anche dolci (cotzula de gerdas e pade de saba) , carni arrosto di agnello e maialetto (de anzone e de porcheddu), sanguinacci (di pecora, agnello, capretto e maiale), caglio e cagliate (merca, giagada, casu axedu).
Importante la raccolta del miele selvatico, che era un’attività rischiosa quanto la caccia e pertanto riservata agli uomini. Con il miele raccolto si preparavano pietanze dolci o si mangiava al naturale, come integratore alimentare. Ancora i pastori della Barbagia e della Gallura consumano un piatto semplice (latuca e mele – lattuga e miele), come ad integrare una alimentazione di un popolo carnivoro.
Una tecnica di cottura della carne , collocabile nel periodo ed anche precedente, potrebbe essere della cottura sotto terra (cotta a carrardzu ) del primo capo catturato preparavano il loro desinare che mettevano al riparo dai carnivori per poi continuare a dedicarsi alla caccia di altri animali.
Sempre di origini antiche è l’uso di mangiare cuore e fegato crudi dei cinghiali appena sventrati. Altro sistema di cottura risalente alla più remota dei popoli cacciato è la cottura degli intestini dei cinghiali arrostiti sulla brace ad una certa altezza dal fuoco mediante due lunghi bastoni, uno per mano, avvolgendoli e svolgendoli secondo una particolare arte (sambene a fiacca).
Tra le erbe spontanee consumate in Sardegna nel periodo vi erano, tra le altre, la cicoria , il porro , le cicerchie, il pisello, le lenticchie, cardo (cugunzula), ma anche avena, orzo, grano ( trigu cottu), funghi (antunna).
La polenta era sicuramente un alimento nuragico, preparata con granaglie e legumi, e tutt’ora se ne conservano i nomi e ricette rispettose di quelle elementari tecniche di preparazione: Ambulau, Oglia, Lusarza, Farre, Succu de faa, Pisci a collettu e altre ancora, documentate da autori latini in epoca successiva.
Intorno all’ VIII secolo a.C. nell’isola giungono i Fenici e alcuni studiosi ipotizzano che quando sono entrati in contatto con quel popolo lo hanno riconosciuto come un parente stretto, con il quale convivere pacificamente. I Fenici hanno trasmesso all’Occidente le tecniche espresse dall’Oriente e seppur non documentate, sono loro alcune tradizioni culinarie. Assi importanti dell’economia fenicia è il sale e le peschiere. Per il tramite di Columella ci viene trasmessa l’informazione sulla loro tecnica di coltivazione degli ulivi. Le fonti classiche descrivono gli orti e giardini lussureggianti di Cartagine con carciofi, cavoli, cardi e aglio.
Anche i Punici, parenti stretti dei Fenici, dominarono l’isola con la finalità di coltivare il terreno che consideravano vocato per la produzione del grano, facendo diventare l’isola il granaio per il rifornimento di Cartagine.
Con il 238 a.C., successivamente alle guerre puniche, Roma prende pieno possesso dell’isola e quella data pone fine a quella civiltà che non era più comunque nel suo massimo splendore
- Testo di Giovanni Fancello. Esperto e docente di storia della gastronomia sarda. Autore di numerosissime pubblicazioni, fra le quali citiamo: Sabores de Mejlogu, Sardegna a tavola, Il pesce povero, Le erbe selvatiche, Le spezie. Collabora alle pagine gastronomiche delle più importanti testate giornalistiche sarde. Vincitore del concorso internazionale “Premio Marietta” di Pellegrino Artusi organizzato dal comune di Forlimpopoli nel corso della Festa Artusiana 2003.
(dalla pagina FB di https://www.facebook.com/pages/Nurnet-La-Rete-Dei-Nuraghi/506410149437714 )
Importante la raccolta del miele selvatico, che era un’attività rischiosa quanto la caccia e pertanto riservata agli uomini. Con il miele raccolto si preparavano pietanze dolci o si mangiava al naturale, come integratore alimentare. Ancora i pastori della Barbagia e della Gallura consumano un piatto semplice (latuca e mele – lattuga e miele), come ad integrare una alimentazione di un popolo carnivoro.
Una tecnica di cottura della carne , collocabile nel periodo ed anche precedente, potrebbe essere della cottura sotto terra (cotta a carrardzu ) del primo capo catturato preparavano il loro desinare che mettevano al riparo dai carnivori per poi continuare a dedicarsi alla caccia di altri animali.
Sempre di origini antiche è l’uso di mangiare cuore e fegato crudi dei cinghiali appena sventrati. Altro sistema di cottura risalente alla più remota dei popoli cacciato è la cottura degli intestini dei cinghiali arrostiti sulla brace ad una certa altezza dal fuoco mediante due lunghi bastoni, uno per mano, avvolgendoli e svolgendoli secondo una particolare arte (sambene a fiacca).
Tra le erbe spontanee consumate in Sardegna nel periodo vi erano, tra le altre, la cicoria , il porro , le cicerchie, il pisello, le lenticchie, cardo (cugunzula), ma anche avena, orzo, grano ( trigu cottu), funghi (antunna).
La polenta era sicuramente un alimento nuragico, preparata con granaglie e legumi, e tutt’ora se ne conservano i nomi e ricette rispettose di quelle elementari tecniche di preparazione: Ambulau, Oglia, Lusarza, Farre, Succu de faa, Pisci a collettu e altre ancora, documentate da autori latini in epoca successiva.
Intorno all’ VIII secolo a.C. nell’isola giungono i Fenici e alcuni studiosi ipotizzano che quando sono entrati in contatto con quel popolo lo hanno riconosciuto come un parente stretto, con il quale convivere pacificamente. I Fenici hanno trasmesso all’Occidente le tecniche espresse dall’Oriente e seppur non documentate, sono loro alcune tradizioni culinarie. Assi importanti dell’economia fenicia è il sale e le peschiere. Per il tramite di Columella ci viene trasmessa l’informazione sulla loro tecnica di coltivazione degli ulivi. Le fonti classiche descrivono gli orti e giardini lussureggianti di Cartagine con carciofi, cavoli, cardi e aglio.
Anche i Punici, parenti stretti dei Fenici, dominarono l’isola con la finalità di coltivare il terreno che consideravano vocato per la produzione del grano, facendo diventare l’isola il granaio per il rifornimento di Cartagine.
Con il 238 a.C., successivamente alle guerre puniche, Roma prende pieno possesso dell’isola e quella data pone fine a quella civiltà che non era più comunque nel suo massimo splendore
- Testo di Giovanni Fancello. Esperto e docente di storia della gastronomia sarda. Autore di numerosissime pubblicazioni, fra le quali citiamo: Sabores de Mejlogu, Sardegna a tavola, Il pesce povero, Le erbe selvatiche, Le spezie. Collabora alle pagine gastronomiche delle più importanti testate giornalistiche sarde. Vincitore del concorso internazionale “Premio Marietta” di Pellegrino Artusi organizzato dal comune di Forlimpopoli nel corso della Festa Artusiana 2003.
(dalla pagina FB di https://www.facebook.com/pages/Nurnet-La-Rete-Dei-Nuraghi/506410149437714 )
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